La Cassazione chiarisce il rapporto tra addebito della separazione e risarcimento del danno

La Cassazione chiarisce il rapporto tra addebito della separazione e risarcimento del danno
09 Marzo 2018: La Cassazione chiarisce il rapporto tra addebito della separazione e risarcimento del danno 09 Marzo 2018

IL CASO. Il Tribunale di Roma, nel pronunciare la separazione giudiziale di Tizio e Caia, da un lato l’aveva addebitata al marito, ma, dall’altro, aveva rigettato la domanda, formulata dalla moglie, di “risarcimento … per il ristoro dei danni causati dalla lesione dei diritti della persona costituzionalmente tutelati quali la dignità, la riservatezza, l’onore, la morale, la reputazione, la privacy, la salute e l’integrità psicofisica”.

La sentenza era stata impugnata dal marito (per le questioni afferenti all’assegno di mantenimento) avanti alla Corte d’Appello di Roma, ove Caia si era costituita, proponendo a sua volta appello incidentale ai fini dell’accoglimento della domanda di risarcimento dei danni.

Quest’ultima domanda era stata, tuttavia, rigettata anche dal Giudice di secondo grado, perché “la domanda risarcitoria presentata, facendo conseguire le singole voci di danno (biologico, morale ed esistenziale) ex se genericamente dalla condotta tenuta dal marito e senza alcuna deduzione precisa di circostanze tali da consentire una valutazione della sussistenza del danno circostanziata e parametrata sulla persona della resistente, non meritava accoglimento in mancanza di una specifica allegazione del pregiudizio non patrimoniale subito”.

Avverso la decisione della Corte d’Appello Caia aveva, dunque, proposto ricorso per cassazione, denunciando la violazione degli articoli 2043 e 2059 c.c..

E ciò perché, secondo la ricorrente, “la Corte d'Appello, una volta registrato il pacifico orientamento della giurisprudenza di legittimità secondo cui la violazione dei doveri derivanti dal matrimonio può integrare gli estremi dell'illecito civile e dare luogo al risarcimento dei danni non patrimoniali arrecati, avrebbe dovuto al contrario tenere in debito conto che nel caso in esame le condotte avevano assunto un rilievo esterno ed autonomo quali lesioni dei diritti fondamentali tutelati dalla Costituzione, anche in considerazione delle modalità con le quali il rapporto era stato condotto”.

LA DECISIONE. La Corte di Cassazione civile, n. 4470/2018 ha dichiarato inammissibile il ricorso di Caia, precisando come la censura sollevata da quest’ultima non investisse “le affermazioni in diritto contenute nella sentenza impugnata né rispetto al fatto che la violazione dei doveri coniugali possa essere fonte di responsabilità aquiliana, né in ordine agli oneri probatori correlati alla domanda di risarcimento del danno non patrimoniale …, ma torna[va] a sostenere nel merito gli assunti non condivisi dalla corte territoriale senza confrontarsi con la ratio decidendi posta a base della decisione impugnata e senza individuare un preciso error in iudicando nel suo ordito argomentativo”.

Nel dichiarare l’inammissibilità del ricorso, la Corte di Cassazione ha, però, colto l’occasione per ribadire il proprio consolidato orientamento in tema di risarcimento del danno derivante dalla violazione dei doveri coniugali:

i doveri derivanti ai coniugi dal matrimonio hanno natura giuridica e … la relativa violazione, ove cagioni la lesione di diritti costituzionalmente protetti, ben può integrare gli estremi dell'illecito civile e dare luogo ad un’autonoma azione volta al risarcimento dei danni non patrimoniali ai sensi dell'art. 2059 c.c. (Sez. 1, Sentenza n. 18853 del 15/09/2011, Rv. 619619 - 01)”.

Nel caso di specie, la Corte di Cassazione ha, pertanto, condiviso l’operato della “corte territoriale”, laddove da un lato “ha affermato che la dignità e l'onore della moglie costituiscono beni costituzionalmente protetti, [i quali] risultavano … gravemente lesi dalla condotta senz'altro peculiare tenuta dal marito”, ma dall’altro ne “ha negato il risarcimento invocato sul presupposto che la lesione dei diritti inviolabili della persona, costituendo un danno conseguenza, doveva essere specificamente allegato e provato”.

Per i Giudici di legittimità, pertanto, non v’è dubbio che “la violazione dei doveri coniugali possa essere fonte di responsabilità aquiliana”, ma ciò non determina alcuna modifica degli ordinari “oneri probatori correlati alla domanda di risarcimento del danno non patrimoniale”.

Infatti, quest’ultimo “non può mai ritenersi in re ipsa, anche nel caso di lesione di diritti inviolabili, ma va debitamente allegato e provato da chi lo invoca, anche attraverso presunzioni semplici”.

Pertanto, per la Cassazione, un conto sono le specifiche condotte che giustificano l’addebito della separazione, un altro, invece, i danni che tali condotte hanno cagionato al coniuge.

Le prime, per quanto gravi e manifeste, possono essere sufficienti a determinare l’addebito della separazione stessa, ma non lo sono ai fini del risarcimento dei danni patiti dal coniuge stesso.

Ne consegue che il coniuge che intende ottenere il risarcimento dei danni non patrimoniali conseguenti alla violazione, da parte dell’altro coniuge, dei doveri discendenti dal matrimonio deve necessariamente allegare e provare lo specifico pregiudizio (alla salute, alla privacy, all’onore …) che tale violazione gli avrebbe recato con riguardo alla lesione di un diritto “inviolabile” costituzionalmente tutelato.

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